Quando nell’estate del 1934 il presidente della Germania, Paul von Hindenburg morì, Hitler non perse nemmeno un minuto di tempo e il giorno stesso unificò le cariche di presidente e cancelliere e assunse i poteri del capo dello Stato e di comandante supremo delle forze armate.
Ma ciò non gli bastò.
Ottenne che il giuramento di fedeltà degli ufficiali e dei soldati fosse fatto alla sua persona e non alla Germania e alla sua costituzione.
Fu solo l’inizio.
Tra il 1936 e il 1939 le cose precipitarono. I paesi dell’Europa libera e democratica, colti ingenuamente in contropiede, dapprima acconsentirono a derogare dagli accordi di Versailles a favore delle richieste tedesche, poi, di fronte agli appetiti smisurati del cancelliere del Reich, cercarono in tutti i modi di fermarlo fino all’inevitabile scoppio della guerra.
L’Italia, alleata della Germania, venne trascinata nel conflitto dalla colpevole faciloneria di Benito Mussolini, «duce» del fascismo.
In questo periodo di anteguerra si inserisce l’indispensabile contributo della diplomazia italiana. Gli ambasciatori, soprattutto, ma anche i consoli, gli incaricati d’affari, gli addetti militari e i ministri aggregati all’estero, furono gli occhi e le orecchie del governo italiano.
Senza le loro meticolose e preziose informazioni, carpite o acquisite attraverso i fitti contatti con gli omologhi dei vari paesi e con i governanti del momento, difficilmente si sarebbero potuti concludere in modo costruttivo accordi e compromessi tra gli stati.
Attraverso le loro parole si possono ricostruire i percorsi irti di ostacoli, di delusioni, di successi, di drammi e di paure che i nostri diplomatici affrontarono con estrema lealtà verso l’Italia nel periodo più tragico del XX secolo.
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